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....dalla «Tafia», bevanda dei Pirati, al Rhum Bartime
Il rum è la bevanda legata alla conquista del Nuovo Mondo, e questo liquore sarà sempre identificato con la zona Caraibica. L’associazione tra questa bevanda e la pirateria, risiede principalmente nel fatto che il rum era il liquore localmente disponibile negli anni d’oro della pirateria nei Caraibi, ma soprattutto dall’enfasi che a tale connubio venne data in alcuni lavori letterari. L’isola del tesoro, di Robert Louis Stevenson fu sicuramente uno dei più celebri romanzi per ragazzi di tutti i tempi. Racconta una storia di pirati e tesori che ha certamente contribuito in modo significativo all’immaginario popolare su di loro. Il rum è la bevanda legata alla conquista del Nuovo Mondo, si ottiene dalla distillazione di vari elementi della canna da zucchero ma il suo percorso fu a ritroso: la canna da zucchero è infatti originaria di Papua Nuova Guinea ed esportata e coltivata in Africa, India e infine in Spagna. Colombo portò le piante nella sua seconda spedizione del 1493 e da quel momento la canna da zucchero, divenne la coltivazione regina del Nuovo Mondo. Questo liquore sarà sempre identificato con la zona Caraibica. Già nel XVIII secolo più di 40 colonie producevano canna e rum. Il suo antenato era la «Tafia», che gli schiavi spremevano dal «guarapo», cioè il succo colato caldo della canna da zucchero, era aspra e forte ma alleviava le fatiche del lavoro. Piacque molto ai pirati che trasportavano sulle loro navi barili di «Draque», che non era altro che il trisavolo del moderno «Mojito», rum grezzo con foglie di menta, che evoca nella nostra immaginazione locali fumosi, taverne malfamate, ritrovi di pirati e fortissime emozioni. La prima distillazione di rum avvenne a Londra con le canne da zucchero indiane intorno al XV secolo, successivamente venne prodotto nella stessa città, con le canne da zucchero provenienti dalle Americhe. Mentre la prima distillazione di rum nelle Americhe ebbe luogo nelle piantagioni di canna da zucchero dei Caraibi nel XVII secolo. I primi rum caraibici non erano di grande qualità, tanto che un documento dalle Barbados del 1651, affermava che il maggiore intossicante prodotto sull’isola è il «Rumbullion», ottenuto da canne da zucchero distillate, un bollente, infernale, e terribile liquore. Si narra che i pirati trasportassero con sè barili di questo distillato, che rendeva l’equipaggio, poco prima di un assalto, euforico e incosciente. L’associazione tra questa bevanda e la pirateria, risiede principalmente nel fatto che il rum era il liquore localmente disponibile negli anni d’oro della pirateria nei Caraibi, ma soprattutto dall’enfasi che a tale connubio venne data in alcuni lavori letterari tra cui citiamo: «Bucaniers of America» (Bucanieri d’America) di John Esquemeling scritto nel 1684. Anche il poeta inglese George Byron (1788-1824) contribuì notevolmente a creare il mito del pirata romantico, con il suo famoso poema «Il Corsaro» scritto nel 1814. «L’isola del tesoro», di Robert Louis Stevenson (1850-1894), che uscì in forma di libro nel 1883, fu sicuramente uno dei più celebri romanzi per ragazzi di tutti i tempi. Racconta una storia di pirati e tesori che ha certamente contribuito in modo significativo all’immaginario popolare su di loro. Tutti i pirati in fondo, devono qualcosa a Stevenson. La RAI nel 1959, ne fece uno sceneggiato televisivo di successo; e tutti noi con i capelli bianchi ci ricordiamo della famose canzone: «Quindici uomini sulla cassa del morto, yo-ho-ho! E una bottiglia di rum! Il vino e il diavolo hanno fatto il resto, yo-ho-ho! E una bottiglia di rum!». Ma che ci facevano «quindici uomini sulla cassa del morto e una bottiglia di rum?». Milioni di lettori si sono posti la domanda sul significato di quella canzone dei pirati, capeggiati dal cuoco dalla gamba di legno con il pappagallo sulla spalla: Long John Silver. La Royal Geographical Society di Londra pubblicò sul suo periodico «Geographical» una spiegazione del significato della canzone. Stevenson riprodusse fedelmente le parole di una canzone originale, realmente cantata tra i pirati nel 1700, nella quale si fa riferimento a una vicenda accaduta a «Cassa di uomo morto» che non è altro che un pezzetto di terra minuscolo e disabitato tra le Isole Vergini (Caraibi). Secondo una leggenda Edward Teach (1679-1718) meglio noto come «Barbanera», un pirata da manuale, con lo sguardo pazzo e inquisitore, teneva delle micce accese tra i capelli, beveva rum mescolato con polvere da sparo e arrotolava la sua barba nera intorno alle orecchie per rendere il suo aspetto ancora più minaccioso. Il suo regno di terrore durò solo due anni, la Marina inglese riuscì a catturarlo nell’insenatura d’Ocracoke nel 1718. Barbanera punì una parte del suo equipaggio che si era ammutinato, abbandonandolo per quattro settimane sull’impervia isola. A ognuno dei 30 uomini diede un coltello, una bottiglia di rum e niente cibo, sperando così che morissero di fame, o si uccidessero a vicenda. Invece quando tornò dopo un mese trovò che alcuni di essi erano sopravvissuti. Così nacque la canzone. Mentre l’associazione tra il rum e la Marina reale britannica iniziò nel 1655, quando la sua flotta invase l’isola di Giamaica. Con la disponibilità di rum prodotto internamente, gli Inglesi cambiarono la razione quotidiana di liquore destinata ai marinai, e dal brandy francese passarono al rum. Mentre la razione era originariamente pura, o mescolata con succo di limone verso il 1740, con l’intento di ridurre gli effetti dell’alcol sui suoi marinai, l’ammiraglio Edward Vernon (1684-1757) ordinò che la razione di rum venisse annacquata prima di essere distribuita. Una mezza pinta di rum mischiata con un quarto di acqua e servita in due parti, prima di mezzogiorno e dopo la fine della giornata lavorativa, divenne parte del regolamento ufficiale della Royal Navy. A Vernon era stato affibbiato il nomignolo di: «Old Grog», poiché era suo uso indossare un mantello di «Grogram», una ruvida stoffa a base mista di lana e seta. Questo nomignolo fu presto dato anche alla bevanda, che da allora divenne nota come «Grog». Col tempo la distribuzione della razione di rum si arricchì di un rituale elaborato. I sottufficiali venivano serviti per primi e avevano diritto a una razione di rum non diluita. La truppa beveva il suo «Grog» in un unico sorso, quando aveva finito il proprio lavoro attorno a mezzogiorno. Nella Marina inglese il «Grog» rimase parte della razione giornaliera dei marinai fino al 1970. Con questo liquore venne conservato il cadavere dell’ammiraglio Horatio Nelson (1758-1805), deceduto nella battaglia di Capo Trafalgar (21 ottobre 1805), come confermano i documenti degli archivi britannici. Il suo corpo venne conservato in una botte di rum fino al rientro in Inghilterra, dove ricevette i funerali di Stato. Il suo corpo venne solennemente tumulato a Londra nella Cattedrale di San Paolo, all’interno di una bara ricavata da un pezzo di legno, ripescato in mare appartenente all’albero maestro dell’Orient, ammiraglia francese nella battaglia del Nilo o della Baia d’Abukir, che si svolse tra la sera del primo e la mattina del 2 agosto 1798. La battaglia segnò il trionfo della Marina britannica, nonché l’inizio della leggenda di Nelson. All’arrivo in madre patria, si scoprì che nella botte non vi era più traccia d’alcol. I marinai avevano praticato un foro sul fondo e bevuto tutto il rum, ignari o incuranti del fatto che all’interno giaceva il corpo dell’ammiraglio. Ancora oggi, memori di questo episodio, viene prodotto il «Nelson’s Blood», rum dall’inconfondibile colore rosso. Dunque un liquore che si produce con la distillazione della canna da zucchero, canna che si coltivava intensamente in quelle isole. Ma qui viene il bello! Il miglior rum proveniva e proviene tutt’ora da una città tedesca. Per molti secoli uno dei centri del Granducato di Schleswig, fino al 1864 sotto il dominio della Danimarca. Passato alla Prussia di Bismark, e in seguito alla Germania, il suo nome: Flensburg, in italiano Friburgo. La città trovandosi sul Mar Baltico, aveva tutte le carte in regola per diventare una città commerciale e soprattutto il declino della Lega Anseatica nel XVI secolo, permise ai suoi commercianti di entrare nei grandi affari internazionali. L’olio di balena, le aringhe sotto sale e lo zucchero erano le merci che resero la città ricca. Nel XVII secolo Flensburg era ancora danese, e la flotta delle Indie Occidentali del regno permise un fiorente commercio con le isole dei Caraibi, merci colonili soprattutto zucchero greggio di canna e cannella. Navi mercantili salpavano da Flensburg per far rotta sulle isole nei Caraibi, ritornando nella città del nord, riportando quella materia prima per la produzione di un ottimo rum, che divenne famoso in tutto il mondo, tanto che la stessa città divenne la capitale del rum in Europa. Oggi in ricordo di quel periodo mercantile si svolge a Flensburg una regata annuale denominata «Rumstadt», in omaggio al rum a cui partecipano un centinaio di barche a vela. Il primo premio è un simbolo per lo più inutile, quindi assistiamo a un paradosso, che molti skipper tentano di arrivare secondi, infatti il premio per il secondo arrivato è una bottiglia di rum di tre litri, della ditta Johannsen Rum, uno degli ultimi due «Rumhäuser» della città. Direttamente nel vecchio porto sorge il museo della marina «Schiffahrtsmuseum». Nel suo piano interrato si trova il «Museo Rum» che ospita vaste esposizioni sulla storia della «Rumimports», il commercio del rum a Flensburg. L’appassionante museo marittimo racconta la storia del rum e dei marinai che lo trasportavano e lo bevevano. Oggi il rum più costoso al mondo, risulta il «Legacy by Angostura». Nel dicembre 2012, in occasione del 50esimo anniversario dell’indipendenza di Trinidad & Tobago, la casa produttrice di rum Angostura lancia una limitata ed esclusiva produzione denominata «Legacy by Angostura», il rum più costoso al mondo che racchiude in se tutta l’esperienza di Angostura che vanta una storia di quasi 200 anni. Solo 20 bottiglie, da 500 ml, del valore stimato di 25.000 dollari. Il progetto è stato completato in sei anni di meticoloso lavoro, che ha dato vita a una miscela delle sette etichette di rum più rare e pregiate del marchio. Tutti i rum che compongono la ricetta hanno raggiunto la maturazione in botti di rovere americano da 200 litri, un tempo utilizzate per l’invecchiamento del bourbon, presso la distilleria Angostura di Trinidad; il più «giovane» di loro è invecchiato 17 anni.
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