Curiosità dal Mondo del Bere
Tutto ciò che c'è da sapere nel fantastico mondo del Bartender
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ARKANUM GIN E UNIT43 GIN, EMOZIONI SENSORIALI
Entrano nel nuovo vasto catalogo 4 referenze di gin di 2 piccole distillerie.
C’era una volta una coppia con una passione comune: Gin
Dopo numerose serate con gin & tonic, la domanda di distillato di ginepro è aumentata. Molto rapidamente è diventato chiaro: è necessario un gin proprio.
In una mite sera di primavera, dopo qualche bicchiere di vino, la vecchia distilleria di rame riscaldata a legna fu portata fuori dalla cantina da suo nonno e allestita. Bruciare è sempre stata una tradizione in famiglia.
Al fine di ottenere la legna per il primo processo di cottura, i due si sono diretti verso la legnaia – qualcosa di mistico è accaduto lì: Sarah della Bassa Austria e René dell’Alto Adige hanno scoperto un serpente blu tra il legno accatastato. Un attimo dopo, era scomparso di nuovo senza lasciare traccia.
Dopo una breve ricerca, tuttavia, è stato chiaro: non ci sono serpenti blu in questo continente.
Questo ha dato alla coppia un’idea: il gin dovrebbe essere misterioso come l’incontro con l’animale.
Così è stato creato un gin blu, che porta un punto culminante magico in sé. Quando viene aggiunto il tonico, cambia colore.
D’ora in poi, la coppia visse felicemente e contentamente, perché hanno creato il proprio spirito di ginepro, che è eccezionalmente equilibrato nell’aroma e rende ogni momento un’esperienza misteriosa.
Questa è stata la nascita del ARKANUM Gin Misterioso.
I nostri gin sono misteriosi.
Un gin blu e uno nero con la magica proprietà di cambiare colore in determinate circostanze.
Ogni momento diventa un’esperienza unica.
Le ricette segrete si basano su ingredienti naturali al 100% e additivi chimici allo 0%.
Allo stesso modo, i cambiamenti di colore sono naturali al 100% e devono alle forze incantate della natura.
Distillato a mano in una distilleria di rame, legato a mano, etichettato a mano.
Più fatto a mano non è possibile.
La procedura
Qualità pura: la nostra distilleria di rame da 150 litri lo rende possibile. Il fatto a mano assume qui un significato completamente nuovo, perché la cottura viene effettuata utilizzando il tradizionale processo di pot still.
Ogni bottiglia viene riempita, etichettata, sigillata ed etichettata a mano – in particolare la sigillatura e l’etichettatura rendono ogni bottiglia unica.
Qui puoi vedere da quale “lotto” (barile / carica tedesca) proviene il gin e quale “bottiglia” hai da questo lotto.
Ogni bottiglia di ARKANUM Gin è unica e non c’è una seconda volta – quindi applausi e lasciati incantare.
In UNIT43 amiamo fare le cose e amiamo anche la buona QUALITÀ. Abbiamo una mano in tutti gli aspetti del processo di distillazione e distillazione. Costruire tutte le nostre attrezzature con materiale RECLAIMED & RECYCLED. Dall’alambicco, al bar, alle macchine imbottigliatrici, fino a coltivare le nostre BOTANICHE e costruire le nostre BICI…
Sì, amiamo anche le biciclette!In UNIT43 amiamo fare le cose e amiamo anche la buona QUALITÀ. Abbiamo una mano in tutti gli aspetti del processo di distillazione e distillazione. Costruire tutte le nostre attrezzature con materiale RECLAIMED & RECYCLED. Dall’alambicco, al bar, alle macchine imbottigliatrici, fino a coltivare le nostre BOTANICHE e costruire le nostre BICI…
Sì, amiamo anche le biciclette!REALIZZATO CON CURA DALLE NOSTRE MANI SOLO PER TE, PERCHÉ SAPPIAMO CHE CAPISCI LA BUONA QUALITÀ. FONDATA NEL 2018… “FIND AND REFINE” È IL MOTTO DI UNIT43 DISTILLING CO. TROVARE I MIGLIORI INGREDIENTI E RAFFINARLI IN DISTILLATI DI ALTA QUALITÀ È LA NOSTRA PASSIONE.
SERBATOI, tavoli, scaffalature, armadi, vasi da fiori, BARILI, cornici e sollevatori idraulici tutti destinati ad essere rottamati e distrutti sono stati riportati in vita, fedeli al motto del marchio di “Find and Refine” e “Makers of the Strong Stuff”… donando alla distilleria un’anima così unica, PASSIONE e intrigo, non facilmente duplicabile.
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L’utilizzo delle schiume nei cocktails 2° parte
Schiuma di birra
Guinness Stout Se siete fan della Guinness stout, allora avrete familiarità con la schiuma ricca e cremosa che si appoggia su di essa. Ma se vi dicessimo che potete creare quella stessa schiuma ricca e densa?
Il segreto dietro la Guinness risiede nell’utilizzo di gas di azoto oltre all’anidride carbonica per creare bolle più piccole. La scienza dietro al perché di questo lavoro è ancora oggetto di dibattito, ma l’azoto è davvero di gran aiuto. Quasi tutte le birre contengono amidi naturali e proteine che agiscono come stabilizzatori di schiuma ed emulsionanti. Molti produttori di birra aggiungeranno anche agenti schiumogeni alle loro formulazioni di birra per ottenere la quantità perfetta di schiuma in cima.
Schiume luminose e ariose e “bolle”
Avete probabilmente sentito il termine “aria” usato per descrivere schiume particolarmente leggere, spesso utilizzate nella cucina modernista. A seconda di quali ingredienti si usano, queste schiume possono variare da grosse bolle impilate in cima a una bevanda a una sostanza sostanzialmente effervescente che ricorda lo Champagne.
La schiuma
Aggiungere al prodotto del sucroestere (E473). Il Sucro è un emulsionante ricavato dal saccarosio, formato da sucroestere di acidi grassi. Bastano pochissimi grammi e girarlo leggermente nel prodotto di base.
Servirà poi un piccolo aeratore (per intenderci gli aeratori che si usano per gli acquari e che emanano bollicine). Immergere la cannuccia nel prodotto e prendere la schiuma che si formerà man mano in superficie.
I velluti
Stesso procedimento delle schiume ma in questo caso l’utensile da utilizzare è un piccolo frullino (per intenderci anche come quelli di uso domestico per la preparazione dei cappuccini) aspettando che monti una schiuma densa e compatta che risulterà soffice al palato e donerà ulteriori aromi al drink di base adagiandosi su di esso e disperdendo, man mano, nuovi sapori sul fondo.
Gelatina
La gelatina in polvere semplice acquistata dal negozio produce schiume che sono leggermente più leggeri delle schiume di uova bianche. Le schiume di gelatina possono essere erogate con un sifone, frusta o mescolate con un miscelatore di immersione.
Lo Xantano è un prezioso alleato di chi cucina senza glutine perché è di fatto uno degli ingredienti in grado di rendere collosa la farina proprio come fa il glutine di natura. È molto comodo ed efficace utilizzare Xanthan su tanti prodotti perché si scioglie senza grumi a qualsiasi temperatura e una piccola quantità può addensare un sacco di liquido. Per fare bolle grandi e graziose di cocktail, avrai bisogno di gomma di xanthan, albume d’uovo e un bollitore.
lecitina di soia La lecitina è un emulsionante che si trova nei tuorli d’uovo e può essere usato per produrre schiume delicate e frizzanti. Utilizzare la lecitina di soia in polvere. La tecnica è piuttosto semplice: usa un frullatore ad immersione dal basso verso l’alto per estrarre schiuma in superficie.
Altre applicazioni
Le tecniche per fare la schiuma di cocktail che abbiamo coperto finora dovrebbero permetterti di creare qualsiasi texture che si desidera senza molta fatica. Ma ci sono alcuni altri ingredienti che puoi provare per applicazioni speciali.
Se siete soggetti a rischio e dovete evitare il consumo di uova crude, potete usare il bianco d’uovo pastorizzato o polverizzato, anziché crudo. Meglio usare l’impasto in polvere perché potete aggiungere più polvere per aumentare la schiuma senza diluire la bevanda. Lo standard è 2 cucchiaini di polvere e 2 cucchiai d’acqua per bianco d’uovo. Combinare la polvere e l’acqua in acqua tiepida. Una forchetta o un miscelatore ad immersione aiutano. La polvere di bianco dell’uovo viene venduta anche come polvere di albumina.
Se siete allergici alle uova, potete usare idrocolloidi senza uova progettati appositamente per imitare la consistenza di una schiuma d’uovo. Questi idrocolloidi possono essere utili in situazioni in cui avete bisogno di grandi quantità di schiuma: rimangono stabili per ore a temperatura ambiente, c’è meno rischio di crescita microbica rispetto ai bianchi d’uovo ed è molto più facile da gestire.
Versawhip
Costituito da proteine di soia e può essere utilizzato per creare schiume calde e fredde. È facile da usare: sbattere con un frullatore finché non si forma una schiuma. Aggiungere gomma di xanthan per creare una schiuma più spessa. Purtroppo il problema con Versawhip è che ha sapore amaro e metallico, quindi la schiuma deve essere dolcificata per mascherare questi sapori.
Metilcellulosa
Descrive un’ampia varietà di idrocolloidi che fanno cose diverse. Conosciuta per la sua capacità di formare gel a temperature elevate. Funziona altrettanto facilmente come Versawhip, ma ha meno di un retrogusto indesiderato. Ancora una volta, una riduzione con una percentuale di xanthan funziona bene per avere una spessa schiuma sui cocktail. Per i vegani, sia il Versawhip che la meticellulosa non contengono prodotti animali. Un’altra opzione è l’agar (o agar agar), una sostituzione a base di alghe per gelatina. Utilizzare l’agar come si desidera la gelatina, ma tenere presente che l’agar gelerà ad una temperatura più alta, quindi potrebbe essere necessario utilizzarne meno per ottenere la stessa texture di una gomma di gelatina equivalente.
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L’utilizzo delle schiume nei cocktails 1° parte
Oggi presentiamo alcune tecniche tradizionali, o non proprio così tradizionali, per realizzare e per perfezionare le schiume da utilizzare nei cocktail.
Che cosa è una schiuma?
Tutte le schiume sono una sottocategoria di dispersioni. Nella chimica, una dispersione è il mix uniformemente diffuso di un materiale in un altro. Quando un solido viene disperso in un liquido (come il caffè in acqua calda), il fenomeno viene chiamato sospensione. Quando un liquido è disperso in un liquido (come l’olio in una vinaigrette) si parla di emulsione. E quando un gas viene disperso in un liquido, abbiamo una schiuma.
Se avete realizzato una maionese o una vinaigrette, potreste sapere che gli emulsionanti che si verificano naturalmente nei tuorli d’uovo e nella senape aiutano a tenere insieme le porzioni di olio e acqua di queste ricette. Oggi parliamo specificamente delle schiume. Nelle schiume, i tensioattivi riducono la tensione superficiale di un liquido, il che a sua volta influenza la quantità di pressione che può accumularsi in bolle prima di scaturire il processo. E quando le bolle non compaiono, si forma una schiuma.
Come è fatta una schiuma?
Una schiuma in cima al cocktail è una guarnizione. Non tutte le bevande hanno bisogno della stessa guarnizione e, alcune, non la richiedono affatto. Allo stesso modo, alcune bevande hanno bisogno di una schiuma spessa e pesante, mentre altre beneficiano di gran lunga più di una schiuma leggera. Tutte le schiume sono composte da due parti distinte: una fase dispersa (le bolle) e una fase continua (il liquido).
La torsione delle caratteristiche di una di queste due fasi cambia la sensazione di bocca. La bocca è maggiormente influenzata dalla schiuma da due variabili: viscosità e cremosità.
– La crema è definita dalla dimensione delle particelle della fase dispersa di una schiuma.
La lingua umana può distinguere particelle più grandi di circa 30 micron. Questo significa che se tutte le bolle in una schiuma sono inferiori a 30 micron, la lingua percepirà una schiuma perfettamente cremosa, mentre qualsiasi cosa più grande di 30 micron può essere percepito come più granuloso o frizzante.
– La viscosità è una proprietà dei liquidi e viene definita dalla forza necessaria per spostare un solido attraverso il liquido. Pensate alla melassa come esempio di liquido viscoso. La viscosità complessiva di una schiuma è influenzata sia dalla dimensione delle particelle sia dalla viscosità della fase continua (cioè il liquido). I liquidi più spessi creano schiume più spesse. Ad esempio, i succhi di frutta e le puree sono sospensioni e i tuorli d’uovo sono emulsioni, il che significa che la consistenza delle schiume realizzate con questi ingredienti dipenderà non solo dalla dimensione e dalla viscosità della bolla, ma anche dalla dimensione delle particelle di solidi sospesi e dalle interazioni tra olio e acqua.
Schiume d’uovo.
Semplice, facile e adatta per la maggior parte delle situazioni.
Per un cocktail semplice che beneficia davvero dell’aggiunta di un bianco d’uovo, non guardate oltre il classico Sour. Senza il bianco d’uovo, il Sour non riesce ad esprimersi al massimo…ma, con il bianco d’uovo, la bevanda si trasforma in una decadenza cremosa. Inoltre, la spuma grossa mantiene la guarnizione e l’aroma di eventuali gocce e bitters che possono essere parte di una ricetta.
Per creare una buona schiuma partendo dal bianco dell’uovo bisogna agitarlo senza aggiunta di ghiaccio…operazione che verrà eseguita successivamente.
Per rendere un Sour leggermente schiumoso, mescolare 1 albume d’uovo per ogni circa 15 once di succo di limone. Le scosse a secco funzionano perché le schiume dall’uovo si formano più facilmente quando sono a temperatura ambiente.
Alcuni fattori da considerare
Partendo dall’uovo fresco, si formerà una schiuma più stabile, ciò ha a che fare con la forza delle proteine nell’albumina.
– L’acido aiuta a stabilizzare una schiuma dall’uovo.
– A causa delle elevate pressioni che comportano, una schiuma fatta con un sifone di frusta sarà sempre più cremosa di una schiuma fatta da scuotimento a secco o da miscelazione – questo non è sempre auspicabile.
– La crema di tartaro, come il succo di limone, è un acidificante.
– Gli acidi aiutano a formare le schiume dall’uovo interferendo con i legami di zolfo che altrimenti causerebbero il collasso.
Una alternativa unica nel suo genere è un prodotto completamente vegano che crea una schiuma vellutata adatta ad ogni tipo di drink dove si vuole dare un’effetto scenografico ma soprattutto sicuro, si chiama Stillabunt Magic Velvet
Proseguiamo nella presentazione di alcune tecniche per realizzare schiume come guarnizione dei drink. Oggi scoprirete la schiuma di birra ed altre applicazioni per le tecniche di cocktail evolution…….Continua…..
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Gin Craze: la moda del gin del 18° secolo
An unidentified woman wearing a ‘flapper’- style skirt dances at a party, as actor Shelley Winters (center) watches in the background in a still from the film, ‘The Great Gatsby,’ directed by Elliott Nugent, 1949. (Photo by Paramount Pictures/Courtesy of Getty Images) L’eccessivo consumo di alcol non riguarda solo i giorni nostri: “the Gin Craze” a Londra nel 18° secolo generò tanti problemi sociali e grida di protesta
Lo sapevi? Le bettole del Gin nell’Inghilterra del 18° secolo permisero per la prima volta alle donne di bere assieme agli uomini. Si pensava che ciò portasse molte di loro a trascurare i figli e a darsi alla prostituzione. Per questo motivo il gin era conosciuto come “Mother’s Ruin”, la rovina della madre.
L’eccessivo consumo di alcol non riguarda certo solo i giorni nostri. La Moda del Gin (the Gin Craze) diffusasi a Londra nel 18° secolo generò tanti problemi sociali e fomentò tante grida di protesta quanto nient’altro fra ciò di cui possiamo leggere oggi nei giornali.
Il Gin nel 18° secolo aveva un nomignolo tutt’altro che lusinghiero: “rovina delle madri”
Illustrazione dell’interno di una Gin Palace londinese
Nella sovraffollata e malfamata Londra Georgiana, il gin era l’oppio del popolo. Per pochi spiccioli i poveri potevano divertirsi e trovare una scappatoia dal freddo e dalla fame nel fondo di un bicchiere. Nel 1730 nella capitale inglese venivano distillati ogni anno circa 10 milioni di galloni (più di 45 milioni di litri) di gin, poi venduti nei 7000 “cicchettari” sparsi per la città. Si è stimato che il londinese medio bevesse la sconcertante quantità di 63 litri di questa roba in un anno!
D’invenzione olandese (il jenever), il gin divenne popolare in Inghilterra quando William of Orange, nato in Olanda, salì sul trono inglese nel 1688. Alla fine del secolo, a causa della guerra contro la Francia, il governo inglese impose una tassa pesante sull’importazione di spiriti e aumentò le restrizioni sulla produzione domestica di alcolici. In questo modo crearono un mercato fruttuoso per il grano di bassa qualità – portando enormi benefici solo ai tanti proprietari terrieri seduti in parlamento. Anche le nuove entrate delle tasse non furono niente male.
Gli effetti furono devastanti. Il gin fu accusato di essere la causa di miseria, crimine crescente, prostituzione, pazzia, alta mortalità e bassa natalità. il vice-ciambellano Lord Hervey ossevò che “La tendenza alla sbronza della gente comune è universale, l’intera città di Londra brulicava di ubriaconi da mattina a sera.” In un famoso processo del 1734 una donna, Judith Dufour, fu accusata di aver strangolato il figlio di due anni e venduto i suoi vestitini nuovi per 1 scellino e 4 penny che le servivano per comprare gin.
Le proteste aumentavano e il governo fu costretto ad agire. Il Gin Act del 1736 tassò il commercio al dettaglio per 20 scellini al gallone e stabilì che vendere gin senza una licenza annuale di 50 sterline fosse illegale. Nei successivi sette anni furono rilasciate solo due licenze. Mentre una moltitudine di onesti venditori fallirono, i contrabbandieri prosperavano. I loro gin, dai nomi pittoreschi quali ‘Ladies Delight’ (Delizia delle donne) o ‘Cuckold’s Comfort’ (Consolazione del cornuto) di solito contenevano trementina al posto del ginepro. Dentro questi gin ci si poteva trovare ogni sorta di terrificante e letale ingrediente, come per esempio l’acido solforico.
“Gin, maledetto Demonio, pieno di furore, rende la razza umana una preda. Entra da uno spiffero mortale e sguscia via con la nostra vita.” – Rev James Townley, 1751
William Hogarth, in un autoritratto del 1745
Nel 1751 l’artista William Hogarth (ne parliamo nell’articolo “Quando il gin era pieno di acido solforico e trementina“) pubblicò la stampa satirica ‘Gin Lane’, dipingendo scene raccapriccianti. Forse la scena più disturbante ritratta nella stampa è quella di una madre, folle per il gin e ricoperta di piaghe sifilitiche, che, senza accorgersene, lascia fatalmente cadere il suo bambino dalle scale, mentre prende un pizzico di tabacco da fiuto. Assistito da tale propaganda, quell’anno fu approvato un altro Gin Act. Le imposte sulle licenze furono abbassate e i distillatori furono costretti a vendere solamente ai rivenditori dotati di licenza e che commerciavano in luoghi rispettabili.
Anche un cambiamento nell’economia aiutò a invertire la corrente. Una serie di raccolti andati male fecero aumentare il prezzo del grano, rendendo i proprietari terrieri meno dipendenti dagli introiti provenienti dalla produzione di gin. Provocarono anche l’aumento del costo del cibo e l’abbassamento delle paghe, così che i poveri non potevano più permettersi la loro droga preferita. Ma la Moda del Gin era tutto tranne che finita.
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Il cocktail Hugo tra sole e profumi
Il cocktail Hugo è un drink giovane, elaborato nel XXI secolo e diffuso molto rapidamente dall’Alto Adige in tutta Italia, varcando anche i confini nazionali. L’origine altoatesina ha infatti consentito al cocktail Hugo di diffondersi nei paesi confinanti: troviamo l’Hugo servito in numerosi locali in Germania, Svizzera e Austria.
Da molti considerato una variante dello Spritz, il cocktail Hugo si è imposto come drink estivo e aperitivo ideale, grazie alla freschezza e alla gradazione alcolica moderata. Il drink possiede inoltre un bouquet olfattivo molto intenso e gradevole, che lo rende favorito sia dal pubblico maschile che femminile.
Le origini del drink
Il drink nasce nel 2005 presso il wine & cocktail bar San Zeno a Naturno, a pochi chilometri da Merano. Il piccolo comune altoatesino è noto per il sole sempre splendente e per i vigneti di Riesling: qui ogni anno si svolge il festival Giornate del Riesling dal 2004.
Il cocktail Hugo nasce per mano del barman Roland Gruber, che dietro al banco del suo locale intende proporre un’alternativa territoriale allo spritz veneziano. Elabora un drink mescolando Prosecco, sciroppo di melissa, soda e foglie di menta: il cocktail Hugo è servito. La clientela di barman Roland gradisce e il nome Hugo ben presto si diffonde dapprima nel Sud Tirol per poi propagarsi in tutta la nazione, e oltre.
Il nome
Sembra che in origine il nome del drink dovesse essere Otto, ma in seguito il barman preferì il più internazionale Hugo. Non è chiaro il motivo di tale appellativo ma è certo che un simile nome abbia facilitato l’ampia diffusione del cocktail.
Il Barman
Roland Gruber rappresenta l’archetipo del sudtirolese: stile montanaro, barba possente, maniere autentiche e gran cuore. Dopo un lungo girovagare che lo ha portato dietro ai banconi di locali tra la Germania e la Svizzera Roland decide di tornare a casa, a Naturno. Come molti suoi conterranei AK (nome d’arte del barman) rimane molto legato alla sua terra: “Un altoatesino sa bene dove risiedono le sue radici” sono parole di Roland.
Il Barman Roland Gruber Nel 2005 realizza il sogno di aprire un wine & cocktail bar nella sua Naturno, e realizza un locale che è un piccolo gioiello e un esempio di ospitalità. La creazione del cocktail Hugo gli rende una fama inaspettata. Ora è il padrone di casa di Gasthaus Spinas a Bever, nell’Alta Engadina, dove l’Hugo è naturalmente il drink della casa.
Ricetta del cocktail Hugo
Il cocktail Hugo è considerato uno sparkling, nel quale il Prosecco è l’elemento principale. E’ facile imbattersi in ricette che riportino dosi differenti, in quantità e in rapporto.
Spritz Hugo La ricetta proposta è la seguente:
2 oz | 6 cl Prosecco
2 oz | 6 cl Seltz
1 oz | 3 cl Sciroppo di fiori di sambuco
4 foglie di mentaBicchiere: calice
Tecnica: stir
Guarnizione: fetta di limone
Ricetta originale vs ricetta nazionale
La ricetta originale dell’Hugo prevede l’uso di sciroppo di melissa, ora sostituito dallo sciroppo di fiori di sambuco perché più facilmente reperibile. Le dosi della ricetta originaria prevedevano un rapporto differenti tra gli ingredienti, sbilanciato verso il Prosecco. Molti usano acqua frizzante in assenza di seltz o soda.
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Il cocktail Hugo tra sole e profumi
Il cocktail Hugo è un drink giovane, elaborato nel XXI secolo e diffuso molto rapidamente dall’Alto Adige in tutta Italia, varcando anche i confini nazionali. L’origine altoatesina ha infatti consentito al cocktail Hugo di diffondersi nei paesi confinanti: troviamo l’Hugo servito in numerosi locali in Germania, Svizzera e Austria.
Da molti considerato una variante dello Spritz, il cocktail Hugo si è imposto come drink estivo e aperitivo ideale, grazie alla freschezza e alla gradazione alcolica moderata. Il drink possiede inoltre un bouquet olfattivo molto intenso e gradevole, che lo rende favorito sia dal pubblico maschile che femminile.
Le origini del drink
Il drink nasce nel 2005 presso il wine & cocktail bar San Zeno a Naturno, a pochi chilometri da Merano. Il piccolo comune altoatesino è noto per il sole sempre splendente e per i vigneti di Riesling: qui ogni anno si svolge il festival Giornate del Riesling dal 2004.
Il cocktail Hugo nasce per mano del barman Roland Gruber, che dietro al banco del suo locale intende proporre un’alternativa territoriale allo spritz veneziano. Elabora un drink mescolando Prosecco, sciroppo di melissa, soda e foglie di menta: il cocktail Hugo è servito. La clientela di barman Roland gradisce e il nome Hugo ben presto si diffonde dapprima nel Sud Tirol per poi propagarsi in tutta la nazione, e oltre.
Il nome
Sembra che in origine il nome del drink dovesse essere Otto, ma in seguito il barman preferì il più internazionale Hugo. Non è chiaro il motivo di tale appellativo ma è certo che un simile nome abbia facilitato l’ampia diffusione del cocktail.
Il Barman Roland Gruber Il barman
Roland Gruber rappresenta l’archetipo del sudtirolese: stile montanaro, barba possente, maniere autentiche e gran cuore. Dopo un lungo girovagare che lo ha portato dietro ai banconi di locali tra la Germania e la Svizzera Roland decide di tornare a casa, a Naturno. Come molti suoi conterranei AK (nome d’arte del barman) rimane molto legato alla sua terra: “Un altoatesino sa bene dove risiedono le sue radici” sono parole di Roland.
Nel 2005 realizza il sogno di aprire un wine & cocktail bar nella sua Naturno, e realizza un locale che è un piccolo gioiello e un esempio di ospitalità. La creazione del cocktail Hugo gli rende una fama inaspettata. Ora è il padrone di casa di Gasthaus Spinas a Bever, nell’Alta Engadina, dove l’Hugo è naturalmente il drink della casa.
Ricetta del cocktail Hugo
Il cocktail Hugo è considerato uno sparkling, nel quale il Prosecco è l’elemento principale. E’ facile imbattersi in ricette che riportino dosi differenti, in quantità e in rapporto.
Hugo Spritz La ricetta proposta è la seguente:
- 2 oz | 6 cl Prosecco
- 2 oz | 6 cl Seltz
- 1 oz | 3 cl Sciroppo di fiori di sambuco
- 4 foglie di menta
Bicchiere: calice
Tecnica: stir
Guarnizione: fetta di limone
Ricetta originale vs ricetta nazionale
La ricetta originale dell’Hugo prevede l’uso di sciroppo di melissa, ora sostituito dallo sciroppo di fiori di sambuco perché più facilmente reperibile. Le dosi della ricetta originaria prevedevano un rapporto differenti tra gli ingredienti, sbilanciato verso il Prosecco. Molti usano acqua frizzante in assenza di seltz o soda.
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LA STORIA DEL CLASSIC COCKTAIL CLUB
Franco Zingales Fondatore Il CCC, fondato nel 1995, da un’idea di Franco Zingales, allora caporedattore di Bargiornale e autore di molteplici libri di Cocktails, nato per rilanciare e promuovere le ricette che sono alla base della storia del bere miscelato nel mondo. Inoltre la conoscenza storico-culturale del bere, il bere miscelato di qualità in tutte le sue sfaccettature, attraverso incontri, dibattiti, tavole rotonde, concorsi, viaggi studio, corsi informativi, pubblicazioni, ricerche storiografiche e merceologiche. Al C.C.C., senza scopi di lucro, aderiscono non solo operatori del settore, ma anche appassionati cultori del mondo enogastronomico-liquoristico e non ha funzioni e caratteristiche tipiche delle associazioni di categoria.
Per rilanciare le ricette classiche che hanno fatto la storia del bere miscelato nel mondo. Per promuovere il bere miscelato di qualità in tutte le sue sfaccettature, attraverso incontri, dibattiti, tavole rotonde, concorsi, viaggi studio, corsi informativi, pubblicazioni, ricerche storiografiche e merceologiche da parte degli operatori del mondo del bere e degli appassionati frequentatori di bar storici o con indirizzo specializzato nel settore del drink miscelato,si sentiva la necessità di istituire un Club, meglio un gruppo di amici, che valorizzasse le tradizioni storiche nel campo del bere.
Zingale al Nottingan Forest Zingales, Giacarlo Raschi e Umberto Caselli Noi e il CCC con Gaetanone Finalisti Rio de Janero Premiazione Paolo Santangelo
Il Club, amicale e senza scopo di lucro, ha per fine il rilancio e la difesa delle 46 ricette internazionali che hanno fatto la storia del bere miscelato. Inoltre il CCC vuole promuovere il bere miscelato di qualità in tutte le sue sfaccettature: queste finalità verranno conseguite attraverso pubblicazioni, ricerche storiografiche e merceologiche, campagne di valorizzazione ed educazione alimentare in generale o specificatamente connesse al settore delle bevande e quant’altro ritenuto utile e opportuno dal consiglio direttivo del Club stesso.
Michele Di Carlo attuale presidente C.C.C. Il Classic Cocktail Club non vuole essere un “contenitore” del passato, ma vuole proiettarsi verso il futuro partendo da quanto è stato costruito nel corso di quasi un secolo dai barmen di tutto il mondo, da illustri scrittori o personaggi dello spettacolo che hanno saputo interpretare al meglio il ruolo del “bicchiere” come momento di socialità ed incontro
Il CCC vuole essere, dunque, un punto di riferimento per tutti gli operatori o semplici amatori del mondo del bere miscelato. Vuole divulgare e codificare in modo corretto tutto quanto è stato fatto, scritto e detto di questo variegato mondo. Ciò significa che occorre, innanzitutto, individuare la giusta maniera di comunicare, riscrivere le regole della comunicazione o informazione e chiarire perfettamente il significato dei termini che si utilizzano. Occorre, pertanto, dotarsi di una terminologia chiara e precisa che spazzi via ogni ombra di dubbio e che indichi perfettamente il significato dei termini che si utilizzano, arrivando alla stesura di un glossario del bere miscelato comprensibile non solo agli addetti ai lavori, ma anche a coloro che in un cocktail ritrovano momenti di storia della liquoristica mondiale (tradizioni, riscoperte, metodologie di produzionei segreti della distillazione, i grandi momenti letterari legati ai vari Hemingway, Somerset W. Maugham, Scott Fitzgerald, Pavese, Soldati e così via).Brano musicale preferito dallo Zio Zingales Da sottolineare che il CCC è diviso in due categorie di iscritti: professionisti ed amatori. primi sono coloro che abbiano esercitato per almeno cinque anni l’attività di somministrazione di bevande sia in qualità di barman. barista , gestore o semplice preposto, i secondi sono coloro che non rientrano nelle precedenti categorie… a tutti gli amici che vorranno sapere di piùo interagire con il Club lo trovate su Facebook cercando Classic Cockail Club dal 1995
RICETTARIO C.C.C.
LE RICETTE DEI PRIMI 50 COCKTAILS IBA
ADONIS: 2/3 dry sherry, 1/3 vermouth rosso, 1goccia orange bitter (mixing-glass, coppetta da cocktail) AFFINITY: 1/2 scotch whisky, 1/4 vermouth dry, 1/4 vermouth rosso 2 gocce angostura (mixing-glass, coppetta da cocktail)
ALASKA: 3/4 gin, 1/4 chartreuse gialla (shaker, coppetta da cocktail)
ALEXANDER: 1/3 cognac, 1/3 crema di cacao, 1/3 crema di latte (shaker, coppetta da cocktail)
ANGEL FACE: 1/3 dry gin, 1/3 apricotbrandy, 1/3 calvados (shaker,coppetta da cocktail)
BACARDI: 2/3 rum bacardi, 1/3 succo di lime o limone, 1 goccia di granatina (shaker, coppetta da cocktail)
BAMBOO: 1/2 sherry, 1/2 vermouth dry, 1 goccia di orange bitter (mixing-glass, coppetta da cocktail) BENTLEY: 1/2 calvados, 1/2 dubonnet (shaker,c oppetta da cocktail)
BETWEEEN THE SHEETS: 1/3 brandy, 1/3 cointreau, 1/3 rum bacardi 1 goccia di succo di limone (shaker, coppetta da cocktail)
BLOCK AND FALL: 1/3 brandy, 1/3 cointreau, 1/6calvados, 1/6 assenzio (shaker,coppetta da cocktail) BLOODY MARY: 1 bicchierino di vodka, 2 gocce worcestershire sauce, succo di pomodoro freddo (direttamente nel tumbler)
BOBBY BURNS: 1/2 scotch whisky, 1/2 vermouth rosso, 3 gocce di bénédectine (mixing-glass, coppetta da cocktail, sprizzo di scorza di limone)
BOMBAY: 1/2 brandy, 1/4 vermouth dry, 1/4 vermouth rosso, 2 gocce curaçao, 1 goccia di assenzio – poi sostituito dal pernod (shaker, coppetta da cocktail)
BRONX: 1/3 dry gin, 1/3 succo d’arancia, 1/6 vermouth dry, 1/6 vermouth rosso (shaker,c oppetta da cocktail)
BROOKLYN: 2/3 rye whiskey, 1/3 vermouth rosso, 1 goccia di maraschino, 1 goccia di amer picon (mixing-glass,coppetta da cocktail)
CARUSO: 1/3 dry gin, 1/3 vermouth dry, 1/3 crema di menta verde (shaker, coppetta da cocktail
CASINO: 3/4 dry gin, 1/12 maraschino, 1/12 orange bitter, 1/12 succo di limone (shaker, coppetta da cocktail, ciliegina rossa)
CLARIDGE: 1/3 dry gin, 1/3 vermouth dry, 1/6 apricot brandy, 1/6 cointreau (mixing-glass,coppetta da cocktail)
CLOVER CLUB: 2/3 dry gin, 1/3 granatina, succo di 1/2 limone, albume di 1/2 uovo (shaker, doppia coppetta da cocktail)
CZARINA: 2/4 vodka, 1/4 vermouth dry, 1/4 apricot brandy, 1 goccia di angostura. (mixing-glass, coppetta da cocktail)
DAIQUIRI: 3/4 rum bianco, 1/4 succo di limone, 3 gocce di sciroppo di zucchero (shaker, coppetta da cocktail)
DERBY: 2 gocce si peach bitter, 2 germogli di menta fresca, 1 bicchierino di dry gin – 50 gradi (shaker, coppetta da cocktail o old fashioned, decorare con i germogli di menta)
DRY MARTINI: 3/4 dry gin 1/4 vermouth dry (mixing-glass, coppetta da cocktail, sprizzo di scorza di limone)
EAST INDIA: 3/4 brandy, 1/8 curaçao, 1/8 succo di pompelmo, 2 gocce di angostura (shaker, coppetta da cocktail, ciliegina rossa)
GIBSON: 5/6 dry gin, 1/6 vermouth dry (mixing-glass, coppetta da cocktail, cipollina)
GIN AND IT: 1/2 dry gin, 1/2 vermouth rosso (coppetta da cocktail direttamente) -
Perché si chiama Martini Cocktail
Dal Martinez, che a sua volta si è evoluto dal Manhattan, il lignaggio del Martini Cocktail si fa ingarbugliato soprattutto dalla nascita delle numerose varianti come Marguerite, Martine, Martigny, Martina, Martineau e Bradford à la Martini. Confusi? Qui, trovate il perché si chiama Martini Cocktail.
Il Martini Cocktail e la letteratura del ‘900
“Non avevo mai bevuto nulla di così bello e pulito”. In tanti sostengono il pensiero sul Martini Cocktail di Frederic Henry, il protagonista in Addio alle armi di Ernest Hemingway. Non ci sono dubbi sul motivo. Il Martini Cocktail è l’emblema di una professione, è il re di tutti i drink.
Elegante, sontuoso, simbolo di perfezione servito nell’iconico bicchiere a forma di V, è il drink più famoso della storia del bere miscelato e celebrato nella letteratura del ‘900. Arte pura per chi lo prepara e piacere unico per chi lo assaggia, il Martini Cocktail ha una lunga e controversa storia.
Soprattutto per quanto riguarda il nome. Se vi state domandando infatti perché si chiama Martini Cocktail, qui potete trovare qualche risposta ai vostri dubbi.
Perché si chiama Martini Cocktail
Cocktail pre-dinner realizzato in stir & strain, come ogni drink leggendario che si rispetti, il Martini Cocktail ha origini incerte. Anzi, ha molte attribuzioni soprattutto per quanto riguarda il nome. Non si sa chi sia di preciso il suo ideatore, né quando sia nato con certezza. Sappiamo però che “Martini” è il nome di un noto vermouth torinese, ingrediente presente nel drink, anche se nelle prime ricette non si menziona mai questo brand.
Il Martinez
Sembra invece meno fondata la storia che assegnerebbe l’invenzione del Martini Cocktail a un certo barman Martini che, da dietro al bancone del Knickerbocker di New York, nel 1906 lo avrebbe fatto provare a John D. Rockefeller. Altre attribuzioni vedono invece scomodare il barman ligure Queirolo il cui cognome della madre sarebbe appunto Martini.
Altre teorie ancora (di sicuro più convincenti vista la somiglianza di ingredienti), farebbero discendere il Marini Cocktail al Martinez di Jerry Thomas proposto però soltanto nella versione del suo libro pubblicata nel 1887.
Due i motivi. Per il nome leggermente storpiato dall’inglese all’italiano e la ricetta che prevede una base di gin, vermouth dolce, maraschino e bitter, con una fetta di limone e due gocce di sciroppo.
Martini Cocktail e la sua discendenza
Restando sempre legati a una discendenza nominale, il Martini Cocktail sembrerebbe unito a drink nati tra il 1882 e il 1910 come Marguerite, Martine, Martigny, Martina, Martineau e Bradford à la Martini. Drink ribattezzati ma che, nel nome e nel gusto ricordano l’originale a base vermouth e gin.
Più diretta invece è l’evoluzione che lo lega al Manhattan. Come un Martinez che muta in un cocktail molto più secco e moderno, c’è anche chi sostiene, non senza buone ragioni, che derivi dal cocktail del 1874 i cui ingredienti sono whiskey e vermut rosso.
Citazioni “alte”
Non è tutto: secondo Lowell Edmunds, autore di Martini Straight Up, la prima ricetta del Martini Cocktail sarebbe invece quella pubblicata da O.H. Byron nel 1884 nel suo “The Modern Bartender” i cui ingredienti sono due schizzi di Curacao, 2 gocce di angostura, mezzo bicchiere di gin e mezzo di vermouth italiano.
Dunque, tra tante teorie sul nome e assonanze di gusto si saprà mai la verità su questo cocktail? Come sostiene il mixologist Mauro Lotti: “La forza del Martini Cocktail sta esattamente qui. Nessuno avrà mai l’ultima parola e questo gli garantisce la vita eterna”. Più che un cocktail una profezia.
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Dai Cocktail al Mixologist
Se oggi possiamo preparare e bere tanti fantastici drink, lo dobbiamo alla creatività umana di grandi personaggi della storia, da Antonio Carpano e Jerry The Professor Thomas. In questo articolo scopriremo la storia dei cocktail, e le grandi personalità che ne hanno fatto parte.
Storia dei cocktail: le origini
L’anno zero di questa storia può essere definito il 1786, anno in cui viene inventato il vermouth dal distillatore italiano Antonio Carpano. Da allora, si diffonde nei caffè europei la moda del vermouth come aperitivo, favorendo la nascita dei primi miscelati.
Fu così che qualche anno dopo, nel 1806, e più precisamente sul settimanale Balance & Columbian Repository, appare per la prima volta la parola “cocktail”, definito come “bevanda stimolante composta da liquori di vario tipo, zucchero, acqua e amari”. Questi “liquori” erano generalmente distillati ottenuti dal vino, dall’uva o dalla frutta, come Brandy, Grappa, Acquavite e Cognac, e chiaramente il Vermouth, che stava ormai spopolando come aperitivo in tutta Europa. La grande fortuna dei cocktail, così come venivano intesi all’epoca, tramonta però in seguito a un’ondata di fillossera, che assesta un terribile colpo alla produzione vinicola.
Come vedremo più volte in questa storia, però, non tutto il male vien per nuocere: essendo fuori uso i “liquori” allora utilizzati, questi vengono sostituiti da spiriti nazionali e internazionali come Gin, Vodka e Rum, che vengono appunto miscelati con succhi di frutta, bitter e spezie. E possiamo finalmente dire che, proprio ora, nasce la grande arte della Miscelazione.
The Professor
E’ proprio qui che entra in gioco un altro grande personaggio della storia dei cocktail: Jerry Thomas, uno dei mixologist più apprezzati della storia. Infatti, Thomas non era solo un ottimo bartender e un genio della mixology, ma era un vero e proprio professionista a tutti gli effetti, tant’è che pubblicò nel 1862, la Bar-Tenders Guide (How to mix drinks), il primo volume della storia dedicato alla miscelazione, che contribuì a diffondere enormemente il sapere attorno a questa nuova materia.
Storia dei Cocktail e Proibizionismo
Nel 1920, troviamo però un altro forte ostacolo nella nostra storia dei cocktail, che si rivela tuttavia paradossalmente una grande spinta in avanti: il Volstead Act sancisce l’illegalità degli alcolici negli Stati Uniti, dando inizio al proibizionismo.
Ciò tuttavia permette la diffusione degli speakeasy, dove gli alcolici di contrabbando di scarsissima qualità necessitavano della creatività umana per migliorarne il sapore: nascono così tecniche di aromatizzazione innovative che ancora oggi vengono utilizzate dai bartender di tutto il mondo.
Inoltre, la grande fuga all’estero dei mixologist, dà il via all’internazionalizzazione dell’arte della mixology americana, che si fonde alla qualità europea delle materie prime, dando inizio a una fiorente e creativa epoca di sperimentazioni.
Storia dei Cocktail e futurismo
Se vogliamo parlare di sperimentazioni, in ogni forma d’arte (quale è la mixology) non possiamo non menzionare il futurismo. Nel movimento di Marinetti la stravaganza, nei cocktail come in qualsiasi altro aspetto, di certo non mancava, così come la più totale libertà, che si concretizzava nelle famose “poli-bibite”.
Da allora, la fama dei cocktail non ha smesso di crescere, anche grazie all’iconicità creata dal cinema, e da scene di famosissimi film come 007, che rese il Martini un vero e proprio status-symbol da celebrità.
Siete appassionati di cocktail e volete imparare a prepararli? Volete scoprire la storia del vostro cocktail preferito? Vi aspettiamo al nostro corso di Barman Basic E se il vostro mito è il Professore Jerry Thomas, non vi resta che iscrivervi al nostro corso di Mixologist !
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DALLA DEVASTAZIONE DEL GIN AD OGGI
Quella che stiamo vivendo oggi è una sorta di rinascita del gin.
La storia del gin è infatti molto travagliata. Dalle origini incerte e nebulose in poi, è stata un intreccio romanzesco di vicende legate all’ uomo, alla medicina, alla politica che hanno avuto come sfondo, il cambiamento negli ultimi secoli, degli usi e costumi della nostra società. Le proprietà benefiche della pianta di ginepro sono note all’ uomo da tempi immemorabili. Considerato dalla medicina popolare un rimedio naturale per la cura di diversi disturbi, testimonianze storiche ne certificano l’ utilizzo già da parte dei Romani e dei Greci.
I primi riferimenti storici in materia di distillazione di questa pianta, arrivano dall’ Italia. Precisamente da Salerno e vedono protagonisti i monaci ( sempre loro ! ) della Scuola Medica Salernitana. Nella raccolta di trattati del 1055, il Compendium Salernitanum, sono i primi a far riferimento a un distillato di vino e bacche di ginepro. Opera questa frutto di studi ed esperimenti per approfondire le proprietà mediche del ginepro.
Da questo momento sono sempre più frequenti gli accenni alle proprietà benefiche e curative del ginepro. Nel 1200/1300 con le prime distillazioni vere e proprie di acquavite con queste bacche, se ne iniziano a conoscere e apprezzare anche i benefici “spirituali”. Si inizia a consigliarne l’uso anche al di fuori dall’ ambito medicale.
DA MEDICINALE A TONICO PER LO SPIRITO
Grazie alle proprietà drenanti che favorivano una migliore circolazione del sangue, l’ uso delle bacche di ginepro a scopo medicinale era molto diffuso nei Paesi Bassi. Utilizzato spesso come rimedio contro la gotta e i reumatismi, problemi che affliggevano i ricchi olandesi dell’ epoca. Molte pubblicazioni provenienti quasi tutte dai Paesi Bassi, avvalorano la tesi che la paternità di questo distillato sia da ricercare proprio in questi luoghi.
Alcuni la attribuiscono al medico di Anversa Philippus Hermanni, che nel suo libro “A Constelijck Distileer boek” dal 1552 menziona l’Aqua juniperi. Altri ancora identificano in un medico dell’Università di Leida, Francisco Della Boe (noto come Franciscus Sylvius), il primo ad aver creato il Genever nel 1650. Un distillato di alcol e oli essenziali di ginepro creato con l’intento di curare i soldati olandesi che si ammalavano di febbre nelle Indie Orientali.
A chi sia da attribuire la paternità del gin rimane difficile da stabilire,. Il dato certo è che già nel 1585, fonti storiche riferiscono che nei Paesi Bassi, un distillato di ginepro veniva utilizzato come medicinale ma anche come tonico corroborante per lo spirito.
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GLI INGLESI SCOPRONO IL GIN
Nel 1585 la regina d’ Inghilterra Elisabetta I Tudor, decise di appoggiare la Repubblica delle Sette Province Unite ( gli odierni Paesi Bassi ) impegnata in una lotta politico-economica-religiosa per l’ indipendenza dai dominatori spagnoli. I soldati inglesi inviati in questi territori, impararono a conoscere il gin, che venne soprannominato Dutch courage (coraggio olandese ). Una versione afferma che i soldati inglesi utilizzassero il genever (o gin olandese) per i suoi effetti calmanti prima della battaglia e per proteggersi dal freddo.
Un’altra versione vuole che ad utilizzarlo come tonico e per infondersi coraggio fossero i soldati olandesi. Quale sia la verità, poco importa, gli inglesi si innamorarono di questo distillato e lo importarono in patria. L’ introduzione di questa bevanda in Inghilterra portò alla creazione del gin. Nome che pare derivi dall’abbreviazione di genever e da un errore di pronuncia. Gli inglesi infatti pronunciavano “i” la prima “e” contenuta nel nome genever.
LA GIN CRAZE
La situazione si fece presto drammatica in tutto il paese. iniziò un periodo della storia del gin noto come “Gin Craze”, nel quale il distillato ebbe un impatto devastante sulla società. Londra viene descritta come un città degradata e fuori controllo con la maggior parte della popolazione ubriaca dalla mattina alla sera. Si stima che in questo periodo vi fossero più di 7000 negozi per la vendita del distillato. A questi si univano un numero imprecisato di distillatori e produttori casalinghi illegali. Il gin scorreva a fiumi per le strade di Londra.
LE BETTOLE DEL GIN
Nelle cosiddette “bettole del gin”, per la prima volta le donne potevano bere assieme agli uomini. Questo fece nascere ben presto la convinzione che molte di loro, annebbiate dai fumi alcolici, finissero per trascurare i figli, arrivando anche a prostituirsi. Per questo motivo il gin era conosciuto come “Mother’s Ruin”, la rovina della madre. Molti distillati avevano nomi con un chiaro riferimento al consumo femminile, tipo “Ladies Delight”, Mother Gin” o “Madame Geneva”. A Londra nel 1723 e per il decennio successivo, il tasso di mortalità superò quello di natalità. Una terrificante percentuale del 75% di bambini moriva prima di arrivare ai 5 anni di età. Molti dei quali nascevano con deformazioni da sindrome feto-alcolica .
La diffusione incontrollata del distillato portò ad un forte aumento del tasso di alcolismo, soprattutto nella popolazione più povera. I più svantaggiati si rifugiavano nel gin per sfuggire all’ alienante lavoro nelle fabbriche, agli stenti dovuti alla vita quotidiana, povertà, freddo, malattie e fame.
La facilissima reperibilità e il basso costo fecero diventare il gin, valvola di sfogo e rifugio contro tutti i mali e i disagi della società, con conseguenze disastrose. Il suo consumo fu accusato di essere la causa di miseria, violenza e crimine crescente, aumento della prostituzione e alta mortalità.
I GIN ACTS PROVANO A CAMBIARE LA STORIA DEL GIN
Il Parlamento britannico nel 1729, nel tentativo di arginare questo degrado sociale, introdusse il primo degli 8 Gin Acts,. Leggi e clausole inserite in altri atti legislativi, che miravano a ridurre il consumo di gin, aumentando la tassazione sulle vendite e sulle licenze.
Questo provvedimento finì per danneggiare i distillatori legali e incrementò il commercio clandestino. Venne abrogato e sostituito con il 2° Gin Act nel 1733, che mirava a eliminare le vendite di gin da ambulanti e negozi generici a vantaggio delle taverne. Anche questo secondo atto si dimostrò inefficace, nonostante fosse il primo a fare affidamento su informatori professionisti per la sua applicazione. Non impedì a migliaia di case londinesi di trasformarsi in distillerie abusive e bettole malfamate.INTRUGLIO MORTALE
E’ necessario chiarire che questo gin, non è paragonabile al distillato moderno che conosciamo e neanche al Genever olandese che gli inglesi avevano importato molti anni prima.
Quello che veniva distillato a Londra era un gin con un elevatissimo grado alcolico. Spesso alterato con trementina e acido solforico, sostanze che oggi sono utilizzate nell’ industria per produrre solventi per vernici, batterie, fertilizzanti, quindi dannosissime per la salute, oggi ma naturalmente anche allora.
Il consumo di questo intruglio londinese era infatti causa di macchie e ustioni sulla pelle, infiammazioni di occhi e bocca , nausea e vomito e portava di frequente alla cecità.Una vera e propria sciagura, una piaga sociale come testimoniato da un episodio che portò a un famoso processo del 1734. Una donna di nome Judith Dufour fu accusata e condannata a morte, per aver soffocato con un fazzoletto la figlia Mary di due anni e aver venduto i suoi vestiti per procurarsi del gin.
In un altro caso, una anziana bambinaia, Mary Eastwick, in uno stato di torpore indotto dal gin, si sedette e si addormentò vicino al camino, con un bambino in braccio. Il piccolo cadde e i suoi vestiti presero fuoco facendolo morire bruciato.
PROTESTE E SDEGNO DELL’ OPINIONE PUBBLICA
Le proteste e lo sdegno dell’ opinione pubblica aumentarono a tal punto che il governo, guidato dal primo ministro Robert Walpole, fu costretto a intervenire con un nuovo e più restrittivo Gin Act. Emanato nel 1735, prevedeva una tassa di 20 scellini per gallone e una licenza annuale di 50 sterline per tutti i venditori di gin. Come gli atti precedenti, mirava a proibirne la vendita in locali non atti alla somministrazione e a punire con la galera i distillatori casalinghi.
Anche questo provvedimento si basava su informatori ma non ottenne i risultati sperati. Si rivelò immensamente impopolare, provocando disordini, rivolte e dure repressioni sociali. Portò alla chiusura delle piccole distillerie artigianali incapaci di pagare l’elevatissima tassa, favorendo ancora di più il prosperare di contrabbandieri e distillatori clandestini.
Negli anni successivi, gli atti legislativi non riuscirono a frenare il dilagante abuso di gin. Nel 1743 la produzione era aumentata fino a raggiungere il massimo storico di 8.000.000 di galloni imperiali (36.000.000 l). L’ applicazione della legge era considerata impossibile e le tensioni sociali sfociavano in episodi di violenza sempre più frequenti, spesso vedevano protagonisti gli informatori del governo, che venivano aggrediti e uccisi dalla folla inferocita. La storia del gin era ancora legata a violenza e criminalità.L’ impegno inglese nella guerra di successione austriaca del 1740/1748, obbligò il Parlamento britannico ad aumentare le entrate per far fronte allo sforzo bellico. Con il Gin Act del 1743 il costo della licenza per i rivenditori di gin al dettaglio, venne abbassato a una cifra accessibile da permettere di svolgere questa attività legalmente. Aumentava le accise e proibiva ai distillatori di vendere direttamente al pubblico.
PRIMI EFFETTI DEI GIN ACTS
Per la prima volta nella storia del gin iniziò effettivamente a diminuire il consumo. E’ grazie al Gin Act del 1751 ( Tippling Act ) che si stabiliscono le prime basi per una distillazione e una produzione controllata e di qualità. L’emendamento includeva il rilascio delle licenze solo a taverne, birrerie e locande. Proibiva ai distillatori di vendere gin a commercianti non autorizzati, allo stesso tempo, aumentava leggermente i dazi sugli alcolici distillati. Questi provvedimenti portarono alla chiusura di tutti i piccoli venditori, riducendo di molto la disponibilità di gin.
Per sollecitare un nuovo intervento del governo che si concretizzò appunto con il Gin Act del 1751, nello stesso anno vennero pubblicate una serie di stampe dell’ artista William Hogarth, pittore, incisore e critico satirico della società dell’ epoca. Queste opere di propaganda si pensa siano state commissionate dal magistrato e scrittore Henry Fielding. Vennero utilizzate a sostegno di una sua inchiesta “An Inquiry into the Causes of the Late Increase of Robbers, and Related Writings”, sull’ aumento della criminalità a Londra.
LA FINE DELLA GIN CRAZE
Le due stampe più famose di Hogarth sono “Gin Lane” e “Beer Street”, realizzate per essere viste una accanto all’altra, raffigurano i mali del consumo di gin in contrasto con i meriti del bere birra.
A segnare la fine della Gin Craze, oltre alle crisi economiche di fine secolo, contribuì in maniera decisiva anche l’ inizio del fenomeno migratorio verso gli Stati Uniti. Questo fenomeno liberò tutta Europa, Inghilterra compresa, dalle classi sociali più disagiate e quindi più pericolose.
La storia del gin in Inghilterra cambiò definitivamente nel 1757.Beer Street Gin Lane
Per scongiurare la carenza di pane dovuta a miseri raccolti, furono bandite le esportazioni e la distillazione di tutti i cereali, decretando la fine della Gin Craze.
La produzione di alcolici subì una drastica riduzione. Il poco prodotto disponibile, distillato con melassa di zucchero importata, aveva un costo elevato fuori dalla portata delle classi più povere.
Questa situazione durò fino al 1760, quando il Parlamento inglese per arginare l’ aumento delle importazioni di rum e alcolici, decise di tornare a incassare dalle imposte sui produttori nazionali. Ripristinò la distillazione del mais con imposte raddoppiate rispetto a quelle degli anni precedenti.
Finalmente regolamentato nella distillazione e nella produzione, il gin iniziò a diventare un prodotto di qualità, rispettabile e costoso.LE PRIME DISTILLERIE DI GIN
In questi anni vennero fondate distillerie storiche, che delinearono un preciso stile che diventerà poi la tipologia London Dry Gin. La Daikin (1760), acquistata nel 1870 dalla famiglia Greenall, produttrice dell’ omonimo gin e la Gordon & Company (1769). Fondata da Alexander Gordon a Londra, nell’area di Southwark, dove venne perfezionato un prodotto di qualità, utilizzando gli estratti vegetali più pregiati, per creare un gin conosciuto ancora oggi per lo spiccato aroma di ginepro. Curiosa la storia legata alla testa di cinghiale presente sull’ etichetta di qualsiasi bottiglia di gin Gordon’s. Si narra che un membro della famiglia Gordon avesse salvato il re di Scozia da un cinghiale selvatico durante una battuta di caccia. Da quel momento, i componenti della famiglia Gordon iniziarono a sfoggiare la testa di questo animale sul proprio stemma.
Qualche anno dopo nel 1793, la famiglia Coates si unì ai distillatori Fox & Williamson. Insieme fondarono la Black Friars Distillery che iniziò la produzione del Plymouth Gin.
L’edificio costruito attorno al 1430, un tempo era un priorato dell’ordine domenicano. Divenne una prigione nel 1536 quando Enrico VIII sciolse, privandoli dei loro beni, tutti i monasteri inglesi. La grande sala del refettorio dei frati, divenne la principale sala riunioni della città. Si dice che alcuni dei Padri Pellegrini del Mayflower, abbiano atteso qui la preparazione della nave nel porto di Plymouth, prima di partire per il Nord America il 16 settembre 1620. Da questo episodio deriverebbe la scelta della nave sull’ etichetta della bottiglia.
Nel 1685 il vecchio monastero si trasformò in rifugio per gli ugonotti in fuga dalla persecuzioni in Francia. Rimodellato e ampliato come distilleria di gin dal 1793, è ancora oggi la casa del Plymouth Gin.I GIN PALACE
Il numero di distillerie e di commercianti disposti a investire sul gin aumentò notevolmente e con loro anche la qualità del prodotto.
Questa ripresa del commercio pubblico portò anche a una radicale trasformazione dei luoghi dove il gin veniva venduto e consumato. Se all’ inizio erano cantine o piccoli negozi da asporto o dove comunque la gente beveva in piedi, verso il 1830 fecero la loro comparsa i primi Gin Palace.Thompson e Fearon’s a Holborn e Weller a Old Street a Londra, furono i primi locali del Gin. Allestiti con banconi in mogano lucido, arredi del bar sgargianti, tini elegantemente dipinti, specchi decorati, il vetro acidato e soprattutto l’ immenso bagliore di luce a gas all’ interno. L’ innovazione dell’ illuminazione a gas e nuove tecniche di lavorazione del vetro, resero questi locali estremamente luminosi, contribuendo notevolmente alla loro estetica. I Gin Palace possono essere considerati dei precursori dei pub vittoriani. Elementi che ancora oggi sono validi e identificano questo tipo di locale nell’ immaginario comune. Ad esempio il grande bancone in legno, fulcro del locale, dove venivano serviti i clienti, che in piedi o seduti su alti sgabelli addossati al bancone, consumavano la bevuta.
Nonostante fossero luoghi piacevoli ed eleganti, non erano ben visti dalla ricca borghesia e dall’opinione pubblica più colta. Venivano considerati luoghi volgari che minavano la legalità e la moralità. Per limitare la frequentazione di questi locali, il governo inglese intervenne con un atto che disciplinava la produzione e la vendita di birra dietro pagamento di una licenza, il Beerhouse Act 1830, noto come il “Duke of Wellington Beer Act”.
NASCITA DELLE BEER HOUSE
Chiunque, dietro pagamento di una piccola cifra di 2 ghinee a un magistrato, poteva ottenere la licenza per aprire una birreria. Il permesso veniva concesso per sei giorni alla settimana, con l’eccezione della domenica e si potevano vendere solo birra e sidroLa birra diventò il prodotto del popolo, l’ alcolico delle masse, con un impatto sui costumi della società, sulla morale e soprattutto sull’ ordine pubblico, molto meno devastante degli anni folli della Gin Craze.
Questi cambiamenti sociali e politici, trasformarono definitivamente il gin, da intruglio mortale e disgustoso a distillato di pregio. Apprezzato da intenditori appartenenti alle classi sociali più abbienti, consumato in locali esclusivi ed eleganti.L’intenzione era quella di aumentare la concorrenza nella produzione e vendita di birra, per portare ad un abbassamento dei prezzi e favorirne il consumo rispetto agli altri alcolici. Questa manovra portò all’apertura delle Beer House, che si diffusero a macchia d’olio in tutto il paese, nel 1841 vennero rilasciate 45.500 licenze. Molte delle nuove birrerie nei loro nomi, rendevano onore al re Guglielmo IV ( l’ approvazione di questa legge avvenne sotto il suo regno) e al duca di Wellington, celebrando le loro gesta nelle insegne dei locali.
LA CONTRAPPOSIZIONE STORICA TRA BIRRA E GIN
La contrapposizione, durata secoli, tra birra e gin operata dal governo inglese, che naturalmente in base alle proprie esigenze storiche ha favorito il consumo di uno o dell’ altro, con lo scopo di arricchire le casse reali, senza curarsi troppo delle conseguenze drammatiche che le varie leggi avrebbero avuto sulle vite dei sudditi, viene chiusa nel 1869 dal “Wine and Beerhouse Act”.
Con questo provvedimento vengono adottati nuove e più severe restrizioni sulla vendita pubblica di birra. Viene introdotto il pagamento di una normale licenza di vendita, obbligando le innumerevoli birrerie ad abbandonare la loro dimensione “casalinga” per trasformarsi in veri e propri locali pubblici. Questa licenza dava la possibilità di somministrare oltre alla birra, anche tutte le altre bevande alcoliche, quindi con il vantaggio di poter vendere gin, whisky, vino e qualsiasi altro spirito ad alta gradazione.
Nascono così i pub in stile vittoriano, termine utilizzato per identificare questi locali caratteristici di fine ottocento. Una spettacolare fusione di elementi, spazi e arredi caratteristici ereditati dai Gin Palace e dalle vecchie birrerie.EPOCA VITTORIANA
Il lungo regno della regina Vittoria, dal 1837 al 1901, è stato un periodo della storia inglese ricco di cambiamenti e di sviluppo con notevoli progressi nel mondo dell’ arte e della scienza. Simbolo sia di stabilità, espansione commerciale e innovazione per l’Inghilterra, ma anche di profonde contraddizioni sociali, psicologiche e culturali.
Questi anni di sviluppo e benessere, furono caratterizzati da uno stile nuovo e inconfondibile, che rispecchiava a primo impatto proprio questo benessere. Rendeva immediatamente identificabile tutto ciò che era inglese, con elementi tipici che ancora oggi sono ricercati e utilizzati, lo stile vittoriano.Alcuni dei pub vittoriani, presenti ancora oggi, sono tra i più belli d’ Inghilterra, riconoscibili già dall’ architettura esterna. Custodiscono al loro interno tutta la tradizione inglese, avvolgendo chiunque vi entri in un atmosfera unica, fuori dal tempo, fra storia e leggenda.
Le grandi vetrate esterne, gli interni suggestivi e curati nei minimi particolari, i tendaggi, le lampade e i lampadari, le pareti arricchite con specchi e quadri, stucchi e decori floreali, ferro battuto e legno, materiale per eccellenza usato in questi locali. Legno e ferro lavorati ad opera d’ arte per creare capolavori di artigianato, trovano la loro massima sublimazione nella zona bar. Il bancone e gli alti sgabelli, le sedie e i tavoli, le colonne e tutti i mobili riccamente intagliati, conferiscono a questi locali la massima espressione di esclusività ed eleganza per un pub.
Anche grazie alla nascita di questi locali, il gin si è ritagliato uno spazio importante nel mondo dei distillati. La sua storia così travagliata che ha attraversato secoli di guerre, carestie, lotte sociali e politiche, influenzando le abitudini e i costumi di intere generazioni di inglesi e non solo, si è evoluta fino ai giorni nostri. Nato nei Paesi Bassi e adottato dagli inglesi ha conquistato il mondo.
IL GIN OGGI
Nuove distillerie con prodotti innovativi e di qualità, hanno affiancato vecchi e gloriosi marchi. Il gin sta vivendo una rinascita a livello planetario e sembra proprio che le pagine più gloriose della sua storia debbano ancora essere scritte.
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Tecnica di Chiarificazione di un Drink
La tecnica della chiarificazione porta a cambiare la texture dei cocktail. Tre i metodi facilmente applicabili al bar: per filtraggio, gelificazione o separazione. I consigli su come procedere, purché non si abbia fretta.
Molto spesso appare, nella descrizione delle ricette, il termine “chiarificato”. Altrettanto spesso s’incontrano opinioni discordanti sull’argomento da parte degli operatori del settore. La chiarificazione offre alcune opportunità che da alcuni sono visti come vantaggi e da altri come superflue sofisticazioni. Innanzitutto, altera la texture di un drink, rimuovendone i solidi all’interno e, di conseguenza, riducendone il corpo. Le sensazioni tattili, date dalla consistenza, sono un aspetto fondamentale di un cocktail: pensate a come una purea troppo densa dia fastidio al palato, o come un Bloody Mary poco denso risulti strano e talvolta sgradevole.
Sinteticamente, la chiarificazione è un processo che rimuove le particelle sospese all’interno di un liquido e separa i liquidi dai solidi. Vi sono tre tipologie di chiarificazioni: tramite filtraggio, gelificazione o separazione di densità. Ognuna di queste ha tempistiche, costi e vantaggi differenti. Senza volersi schierare tra gli amanti e i detrattori di questa tecnica, lo scopo qui è fornire una panoramica delle opzioni applicabili, in un bar che non abbia la possibilità di accedere ad attrezzature particolarmente costose. La premessa è che occorrerà armarsi di pazienza, poiché i procedimenti tendono a essere lunghi. Ma con un’adeguata programmazione delle preparazioni giornaliere e settimanali del bar saranno facilmente gestibili.
Filtraggio
Chiarificare tramite l’utilizzo di un filtro a maglia stretta è un primo approccio, non tuttavia esente da complicazioni. In primo luogo i filtri che comunemente si possono trovare – come per esempio quelli da caffè o le garze di panno – non sempre sono a maglia sufficientemente fine da impedire il passaggio di tutta la parte solida. Inoltre, hanno la tendenza a intasarsi velocemente, rendendo lo scorrimento del liquido molto lento, e costringendoci a cambi o pulizie frequenti del filtro. In generale, è consigliato adottare questo metodo per quantità limitate di liquido e quando si ha la possibilità di monitorarlo costantemente, così da assicurarsi che il filtraggio stia proseguendo al meglio.
Gelificazione
Chiarificare utilizzando dei gel è un metodo più efficace, anche se richiede alcuni passaggi aggiuntivi. A livello pratico, consiste nell’intrappolare il liquido in una sostanza gelificante, per poi farlo fuoriuscire. Le particelle che rendono il liquido torbido rimangono all’interno del gel, mentre ciò che esce è limpido. L’esempio più comune lo si ha in cucina, quando si utilizzano gli albumi per filtrare il consommé di carne. Purtroppo, nel nostro caso, non è una strada percorribile, perché richiede un’esposizione prolungata al calore che potrebbe danneggiare il sapore del composto. Un metodo largamente utilizzato è quello del congelamento/decongelamento, che consiste nell’aggiungere una gelatina all’interno del liquido, lasciarlo congelare e poi decongelare gradualmente, munendosi di un filtro tra il blocco congelato e la parte che si vuole far percolare. In questo modo, le parti solide rimarranno intrappolate nel gel al di sopra del filtro, mentre quelle liquide scorreranno attraverso di esso.
Per quanto non sia l’unico, il gelificante più indicato e di facile reperibilità per questa tipologia di chiarificazioni è l’agar-agar che è a base di alghe marine (per cui, anche vegan-friendly). L’unica vera controindicazione è che l’agar-agar, per essere attivato, va sciolto in un liquido bollente per alcuni minuti, e questo calore è dannoso per alcuni ingredienti. La soluzione è dividere in due parti il quantitativo di prodotto che si desidera chiarificare.
La prima, corrispondente al 25% del totale, sarà quella al cui interno vanno disciolti due grammi di agar-agar, l’altra sarà invece la parte da aggiungere quando l’alga avrà fatto il suo dovere. Con succhi come arancia o zenzero, che non sono particolarmente sensibili al calore, questo processo è fattibile. Con prodotti come lime o puree (ma anche con ingredienti alcolici, che si rovinerebbero se portati ad alte temperature) si esegue lo stesso procedimento, ma sciogliendo l’agar-agar in acqua (sempre 2 g per chilo), invece che direttamente nel composto. Si avrà una piccola diluizione nel risultato finale, ma è un prezzo ragionevole da pagare per avere un bel succo di fragola o un bourbon alle pesche chiarificate. Una volta uniti i due liquidi, si versa in un recipiente sufficientemente largo (una teglia dai bordi alti, ad esempio) e si lascia che il gel solidifichi il composto (questo avviene quando avrà la consistenza di una gelatina molto densa). Poi si mette tutto in freezer fino a che diventa un blocco ghiacciato e omogeneo. Quando sarà pronto, si pone il blocco su un panno filtrante disposto sopra a un recipiente adeguato e si lascia colare. L’operazione richiederà diverse ore, per cui, per evitare che con il passare del tempo il succo si ossidi o rovini, è meglio che il tutto avvenga in frigo.Separazione di densità
La terza tecnica consiste nello sfruttare le densità diverse all’interno del liquido ed applica un principio fisico molto semplice: le particelle sospese sono più dense del liquido in cui sono disciolte, per cui cadranno in fondo ad esso. Sarà quindi possibile, utilizzando un imbuto separatore, dividere le due parti ed estrarne quella chiarificata. Purtroppo non sono molti i liquidi che hanno particelle così grandi al suo interno, da consentire una separazione rapida. Un succo di carota o di mela si separerà velocemente, ma molti altri prodotti non lo faranno. In generale, quei succhi che per loro natura sono leggeri (mela, cetriolo, arancia…) riusciranno a separarsi in qualche ora, ma per composti più densi come le puree ci sarà bisogno di un aiuto aggiuntivo. Come insegna Dave Arnold nel suo libro Liquid Intelligence, si dovrà fare uso di un gruppo di enzimi derivanti dai funghi chiamato “Pectinex Ultra SP-L”, facilmente reperibile on line. Utilizzandone due grammi per litro, agiranno sulla pectina e la cellulosa all’interno dei liquidi e ne faciliteranno la separazione.
A questo punto basterà mettere il succo in un imbuto separatore, lasciarlo per alcune ore in frigo, e dividere le componenti. L’SP-L può essere impiegato anche insieme ai gelificanti: li aiuterà a rilasciare più sostanza liquida, con il risultato di una resa finale maggiore. Infatti, il vero svantaggio di queste chiarificazioni è la quantità di liquido che si perde nel processo. Da un chilo di prodotto è facile aspettarsi che circa 1/4 rimanga “intrappolato” nel gel e che non sia chiarificabile (ma resta comunque utilizzabile nella sua versione opaca).Quelli descritti sono tre metodi di chiarificazione applicabili e poco costosi. È tuttavia buona norma, quando si decide di chiarificare qualcosa, domandarsi se ha senso nel contesto in cui lavoriamo. I procedimenti possono essere lunghi e occupare spazi ingombranti (per esempio in freezer o frigo), per cui è meglio fare bene i conti con quello che desideriamo ottenere, prima di decidere, per esempio, di avere sul menu vari cocktail con succhi chiarificati. Una cosa è certa…ora sapete cosa fare per iniziare! *
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Bevande Futuriste lancia i mix di frutta e sciroppi “Prohibito”, the new way of mixing
Presentata alla Florence Cocktail Week 2021 la nuova linea per i bartender firmata Bevande Futuriste. Il lab a portata di mano con mix di frutta, sciroppi zuccherini, sciroppi premium Made in Puglia, una base madre con 15 essenze, uno sciroppo al burro.
Si è tenuta a Firenze, nell’ambito della sesta edizione della Florence Cocktail Week, la presentazione di Prohibito – The new way of mixing, nuovo brand di Bevande Futuriste, nuova esclusiva mixability frutto di un lavoro di due anni e di una stretta collaborazione con i migliori bartender italiani. Sette mix di frutta, due sciroppi zuccherini, tre sciroppi premium Made in Puglia, una base madre con 15 essenze, uno sciroppo al burro, il Tiki Batter. Questa la squadra di prodotti presentata presso Ditta Artigianale da Samuele Ambrosi del Cloakroom Cocktail Lab di Treviso, da Gianni Zottola, esperto di miscelazione Tiki e Tropical e dal brand ambassador Prohibito, Gianluca Fraccascia. Un nome, Prohibito, che strizza l’occhio ai mitici anni Trenta, quelli del proibizionismo americano, che oggi parla la lingua dei drink più attuali, ma anche quelli del futuro. Prohibito rappresenta il fascino di poter sperimentare, innovare e personalizzare con pochi semplici gesti alla portata di tutti.
Sette prodotti natural fruit for mix, con fino al 90% di pura frutta, ingredienti naturali e senza coloranti, ideali per cocktail, frozen drink, granite e frullati. Gusti che spaziano dal mirtillo nero alla pesca, dalla fragola alla melagrana, dal frutto della passione al cocco e al lampone. Due gli sciroppi zuccherini naturali, ideali per per dare un tocco di sana dolcezza a drink e cocktail, uno di agave biologico, con un basso indice glicemico e uno di zucchero invertito che, grazie all’enzima invertasi ha un potere dolcificante maggiore rispetto allo zucchero semplice. Sciroppi con ingredienti ricercati, espressione delle migliori eccellenze regionali italiane. Si parte con tre gusti premium Made in Puglia esclusivi, ideali per rivisitazioni di classici e garnish per la ristorazione. Lo sciroppo di cipolla rossa di Acquaviva, presidio Slow Food, coltivata in modo naturale nel rispetto della tradizione antica di Acquaviva delle Fonti. Lo sciroppo di mandorla di Toritto, presidio Slow Food della Murgia, zona in cui prendono vita varie cultivar autoctone delle migliori qualità. Infine, lo sciroppo di vino Primitivo IGT Puglia: di origine perse nella notte dei tempi e di provenienza certificata, è il vino primitivo che esprime al meglio la regione.
Non manca una base madre da 500 ml, realizzata solo con ingredienti naturali, composto cremoso dal gusto neutro, utilizzato per la miscelazione di essenze nei cocktail. Con una base unica si può dar vita a innumerevoli combinazioni di gusti, mixando le essenze a proprio piacimento. Base madre che si accompagna a quindici essenze da 50 ml con tappo contagocce e nebulizzatore spray. Una selezione di botaniche ad altissima concentrazione, senza antiossidanti e 100% naturali con i gusti vaniglia, rabarbaro, zenzero, fiori di sambuco, violetta, cannella, bergamotto, mandarino, anice stellato, chinotto, cardamomo, ginepro, rosmarino, lime e chiodi di garofano. Le essenze della linea Prohibito sono delle vere e proprie eau de parfum naturali per aromatizzare i drink e per profumare l’atmosfera.
In Prohibito grande l’innovazione giocata dal Tiki Batter, uno sciroppo al burro, prodotto naturale nato con lo scopo di aumentare la complessità gustativa e la succulenza di un cocktail. Ideale per l’alta miscelazione, il Tiki Batter è a tutti gli effetti una nuova frontiera esperienziale, che ha come precursori i guru del mondo Tiki, che utilizzavano proprio il burro nelle loro preparazioni afrodisiache. “Prohibito è un nome, un concetto, una missione futurista, dai valori antichi rivisti in chiave moderna – sottolinea Elena Ceschelli, direttore Marketing e comunicazione della trevigiana Bevande Futuriste. Parliamo ai bartender, i barman esteti della nuova generazione, amanti della sperimentazione con prodotti di qualità, che ricercano il bello in ogni dettaglio e che esigono l’eccellenza qui e ora. Quando qualcosa o qualcuno si presenta davanti ai nostri occhi, con l’etichetta Prohibito, è come se il nostro lato più avventuroso si attivasse immediatamente e volesse cogliere la sfida nel creare cocktail originali, unici e autentici”.
BEVANDE FUTURISTE
Bevande Futuriste nasce nel 2014 a Treviso, dopo due anni di ricerca e sviluppo sullo studio dei consumi fuori casa sulla donna di oggi, moderna e futurista. Tre soci: Alessandro Angelon, Elena Ceschelli e Alberto Zamuner, uniti da amicizia e amore per il bello in ogni cosa, con una forte esperienza nel food and beverage. Sei le linee di prodotto a cui si aggiunge Prohibito: il DiFrutta Bio, il succo di frutta bello, buono e anche bio; i succhi di pura frutta biologica T.V.Bio Smoothie; la linea Cortese, sodate premium per il bartender professionista; ama_tè, i bio ice tea da vero infuso di foglie di tè verde; Originale bio 1959, le bibite frizzanti della tradizione italiana e la nuova linea Amatisana. La missione è scritta nel manifesto Futurista l’Elogio alla Bellezza: i valori del bello per una qualità di vita migliore attraverso un assortimento di bevande naturali e bio, buone, sane, belle, assolutamente poco zuccherate. La frutta, accuratamente scelta e raccolta all’origine, è il punto di partenza, preferendo anche prodotti biologici, italiani e di provenienza controllata e certificata. Prodotti che non seguono le mode, ma propongono bellezza ed è da qui che nasce la denominazione di Futuristi, mossi da una voglia ardente di cambiare la staticità del mondo Ho.Re.Ca. tramite un gruppo di persone che divulga ogni giorno il verbo Futurista. In questi anni Bevande Futuriste hanno sostenuto il lavoro del bartender nel proporre cocktail unici e distintivi utilizzando il Made in Italy.
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